Da quando le criptovalute, come il bitcoin, si sono diffuse enormemente l’Agenzia delle Entrate ha cominciato a interessarsi e a stabilire delle norme riguardo alle tasse.
Sicuramente una delle domande che si pongono gli investitori è se bisogna dichiarare oppure no i bitcoin allo Stato.
Noi vi rispondiamo subito dicendo che in linea generale non è necessario comunicare ne allo Stato e ne all’Agenzia delle Entrate la quantità di bitcoin posseduti. Questo lo vedremo in modo più approfondito nei prossimi paragrafi, ci sono delle situazioni specifiche che devono essere analizzate una alla volta.
Vediamo per i Bitcoin che tipo di tasse e regolamentazioni ci sono in Italia.
Cosa ne pensa l’Agenzia dell’Entrate?
L’Agenzia delle Entrate, per quanto riguarda le tasse sui Bitcoin ha dichiarato che: “Con riferimento al trattamento fiscale applicabile alle operazioni relative
ai bitcoin e, in generale, alle valute virtuali, non si può prescindere da quanto
affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nella sentenza 22 ottobre
2015, causa C-264/14.
In tale occasione, sebbene agli effetti dell’Iva, la Corte europea ha
riconosciuto che le operazioni che consistono nel cambio di valuta tradizionale
contro unità della valuta virtuale bitcoin e viceversa, effettuate a fronte del
pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza
tra il prezzo di acquisto delle valute e quello di vendita praticato dall’operatore ai
propri clienti, costituiscono prestazioni di servizio a titolo oneroso.
Più precisamente, secondo i giudici europei, tali operazioni rientrano tra le
operazioni “relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio” di cui
all’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2006/112/CE.
In assenza di una specifica normativa applicabile al sistema delle monete
virtuali, la predetta sentenza della Corte di Giustizia costituisce necessariamente
un punto di riferimento sul piano della disciplina fiscale applicabile alle monete
virtuali e, nello specifico ai bitcoin.
In ossequio a quanto affermato dai giudici europei, pertanto, si ritiene che
l’attività di intermediazione di valute tradizionali con bitcoin, svolta in modo
professionale ed abituale, costituisce una attività rilevante oltre agli effetti
dell’Iva anche dell’Ires e dell’Irap“.
Per ulteriori approfondimenti vi consigliamo di leggere la “RISOLUZIONE N. 72 /E“, esattamente riguarda il “Trattamento fiscale applicabile alle società che svolgono attività di
servizi relativi a monete virtuali“.
Non ci sono riferimenti al caso in cui un privato svolge attività speculativa, ma dato che
i bitcoin sono considerati come una moneta è perciò possibile applicare le stesse normative che vengono messe in atto ai privati che svolgono appunto attività speculativa in ambito monetario.
DECRETO LEGISLATIVO 4 ottobre 2019, n. 125
Per le criptovalute è stata impiegata la “IV direttiva antiriciglaggio” per stabilire delle norme riguardanti coloro che utilizzano la moneta virtuale. L’Italia è stato il primo tra gli Stati membri dell’Unione europea ad adottare questa direttiva.
Si tratta delle “Modifiche ed integrazioni ai decreti legislativi 25 maggio 2017, n. 90 e n. 92, recanti attuazione della direttiva (UE) 2015/849, nonche’ attuazione della direttiva (UE) 2018/843 che modifica la direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario ai fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo e che modifica le direttive 2009/138/CE e 2013/36/UE. (19G00131) (GU Serie Generale n.252 del 26-10-2019)“.
Rientrano nella normativa antiriciclaggio e di contrasto al finanziamento del terrorismo tutti i prestatori di servizi sia riguardo all’utilizzo di valuta virtuale che di portafoglio virtuale. Perciò sono del tutto sottoposti agli obblighi e alle relative sanzioni.
Sempre in ambito europeo, l’Italia, tramite il decreto legislativo 90/2017, è stata la prima a inserire nel nostro ordinamento la definizione di “valute virtuali” e “prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale“.
Tasse Bitcoin in Italia
L’argomento tasse è abbastanza complesso, soprattutto quando si parla di bitcoin dato che essendo decentralizzate non sono sottoposte al controllo da parte di nessuna istituzione, ne tanto meno dallo Stato.
Però si è cercato comunque di trovare un modo per regolarizzarle.
Prima di tutto andiamo a vedere se c’è una differenza tra quando si comprano e si vendono bitcoin tramite il servizio di trading online e quando si acquistano direttamente su una piattaforma di exchange.
Trading online
Per chi svolge il Trading online si è soggetti a una tassazione del 26% circa soltanto quando il fondo viene depositato sul conto in banca.
Piattaforme di exchange
Per chi invece acquista e vende i bitcoin presso una piattaforma exchange è soggetto a una tassazione solamente quando effettua la conversione in euro.
Tasse Bitcoin per le persone fisiche e per le aziende
Ora andiamo a vedere se c’è una differenza di tassazione tra le persone fisiche e le aziende.
Per entrambi i casi i bitcoin, più in generale le criptovalute, vengono considerate e trattate burocraticamente come valute estere.
Tasse per le aziende
Le aziende devono dichiarare tutte le operazioni che eseguono, ma non devono comunicare la quantità posseduta.
Nel caso delle plusvalenze/minusvalenze, che vengono registrate nel momento in cui vengono venduti i bitcoin, le aziende dal momento in cui prelevano il ricavato sono soggette a tassazione con una aliquota del 26%.
Inoltre devono essere inserite nella dichiarazione dei redditi, negli appositi spazi dedicati appunto alle plusvalenze/minusvalenze derivanti da attività finanziarie.
Tasse per le persone fisiche
L’Agenzia delle Entrate prevede il pagamento delle tasse solo quando considera l’attività come speculativa. Però questo si verifica solo se in un anno viene superato per sette giorni consecutivi il limite di possesso di bitcoin per il valore di 50 mila euro circa.
Le persone fisiche sono soggette a tassazione sulle plusvalenze/minusvalenze, in ugual modo alle aziende, ovvero vengono rilevate solo al momento della vendita dei Bitcoin, ma non c’è chiusura di bilancio.
Però un privato cittadino che non svolge attività finanziaria finalizzata all’ottenimento di plusvalenze/minusvalenze non deve pagare alcuna imposta.
Cosa ne pensa la CONSOB?
Ora diamo uno sguardo in merito alla sicurezza delle persone che investono in criptovalute.
La CONSOB è la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa. Si tratta di un’autorità amministrativa indipendente che tra i suoi diversi adempimenti si occupa di tutelare gli investitori che operano in Borsa in Italia.
Sul sito ufficiale della CONSOB sulle criptovalute si legge che:
- le monete virtuali non hanno corso legale in quasi nessun angolo del pianeta e dunque l’accettazione come mezzo di pagamento è su base volontaria;
- le monete virtuali non sono regolate da enti centrali governativi, ma sono generalmente emesse e controllate dall’ente emittente secondo regole proprie, a cui i membri della comunità di riferimento accettano di aderire;
- ci sono Stati che hanno deciso di sperimentare, sotto il proprio controllo, l’utilizzo di moneta virtuale nei propri Paesi (es. l’Uruguay con l’e-peso) o ne hanno annunciato il loro utilizzo senza che però si abbiano maggiori informazioni al riguardo (es. il Venezuela con il Petro) o, ancora, che abbiano in cantiere iniziative al riguardo (es. Estonia e Svezia).
Riguardo lo scambio delle criptovalute che avvengono sulle piattaforme di exchange, specifica che attualmente non sono regolamentate e quindi “non è prevista una tutela legale specifica in caso di contenzioso o fallimento“.
A proposito della futura possibilità di un’immediata conversione dei bitcoin e delle altre criptovalute in moneta ufficiale a prezzi di mercato, si legge che “la finanza e il settore bancario guardano con diffidenza e riluttanza alle criptovalute, temendo che siffatte evoluzioni, determinando, in particolare, la possibilità di trasmettere valore senza l’intervento degli intermediari, possano finire per spiazzare il business normalmente svolto dall’industria.
Guardato, tuttavia, come fase primordiale di un più ampio processo di sperimentazione tecnologica e finanziaria, le criptovalute e, più in generale, la distributed ledger technology potrebbero utilmente porre le basi per dar vita a soluzioni capaci di rendere più efficiente o, secondo i più ottimisti, di trasformare radicalmente l’attuale sistema economico.
Lo sviluppo di risposte regolatorie efficaci in merito alle criptovalute è ancora in una fase iniziale: si tratta di un ambito difficile da disciplinare, rientrando nella competenza di differenti soggetti pubblici a livello nazionale e operando, al contempo, su scala globale. Molti sistemi di scambio sono del tutto opachi e operano al di fuori del sistema finanziario convenzionale, ciò che rende difficile monitorarne l’operatività.
I regolatori hanno iniziato ad affrontare tali sfide e le risposte fornite al fenomeno sono state molteplici, con una varietà di approcci tra i differenti Paesi. Taluni hanno valutato la possibilità di includere le valute virtuali nel novero di fattispecie già appropriatamente regolate, altri hanno diramato apposite avvertenze ai consumatori o hanno assoggettato a un regime autorizzatorio lo svolgimento di talune delle attività proprie del sistema, altri ancora hanno proibito alle istituzioni finanziarie di negoziare valute virtuali o ne hanno addirittura vietato l’uso, perseguendo penalmente i trasgressori. Si tratta di risposte di policy ancora embrionali rispetto alle sfide poste dalle valute virtuali ed è altamente probabile che, nel prossimo futuro, interverranno ulteriori sviluppi.
A mano a mano che si acquisirà una certa esperienza in ordine al loro funzionamento, la diffusione di standard internazionali e best practice potrà fornire utili indicazioni sulle misure regolatorie più appropriate da implementare nei diversi campi, promuovendo l’armonizzazione e prevenendo il rischio di strategie di arbitraggio. Tali standard potrebbero comprendere accordi di cooperazione internazionale in settori quali lo scambio di informazioni e lo svolgimento di indagini nel perseguimento dei reati transfrontalieri“.
Conclusioni
Abbiamo visto che non ci sono proprio delle vere e proprie norme che stabiliscono i criteri da seguire per quanto riguarda la tassazione sui bitcoin e su tutte le altre criptovalute.
Allo Stato o all’Agenzia delle Entrate non bisogna dichiarare quanti bitcoin si posseggono. Ma le valute digitali essendo considerate come valute fiat vengono applicati le stesse regole fiscali.
In specifico le tasse si devono pagare solo sulle plusvalenze/minusvalenze, che nel caso delle aziende vengono registrate in due casi, il primo si verifica al momento della vendita e il secondo a chiusura di bilancio.
Invece ai privati cittadini risultano solo se superano 7 giorni consecutivi di possesso di Bitcoin per un valore di circa 51mila euro.
Noi comunque consigliamo sempre di rivolgersi ai un commercialista che può consigliarvi in modo professionale come procedere al pagamento delle imposte sulle criptovalute.
FAQ – Domande frequenti
Per un privato cittadino se il valore dei bitcoin posseduti per sette giorni consecutivi in un anno supera i 51mila euro circa devono essere inseriti nella Dichiarazione dei redditi.
Un privato cittadino non deve pagare alcuna imposta quando non svolge attività finanziaria finalizzata all’ottenimento di plusvalenze/minusvalenze .
Sono soggette a tassazione le aziende che prelevano il ricavato per quanto riguarda le plusvalenze/minusvalenze.
L’Agenzia delle Entrate considera il Bitcoin come una valuta fiat, perciò vengono applicate le stesse regole fiscali dell’euro.
No, le imprese non sono obbligate a dichiarare il possesso dei bitcoin, però devono far conoscere tutte le operazioni effettuate.